Ninfea torna a sensibilizzare il pubblico con la penetrante delicatezza della sua voce: “La fine dell’inverno” è il suo nuovo singolo

Quanto costa essere se stessi in un mondo sempre più incline a denigrare ed emarginare tutto ciò che etichetta come diverso? E da dove è possibile trarre il coraggio necessario per rimanere autentici, connessi alla propria natura, quando ci sentiamo ingabbiati dentro al giudizio, esclusi da una società inclusiva a parole, ma, nella realtà dei fatti, sempre più orientata all’omologazione, a discapito di quelle peculiarità che la spaventano a tal punto da volverle reprimere? È da queste profonde e purtroppo più attuali che mai riflessioni che ha preso vita “La fine dell’inverno” (Rumori Digitali/Digital Noises), il nuovo intenso viaggio di anima e voce di Ninfea.

Definita dalla critica come “una delle vocalità più interessanti e delicate degli ultimi anni” e apprezzatissima dal pubblico per l’eleganza e l’emozionalità che avvolgono ogni sua release, la giovanissima cantautrice calabrese d’adozione lombarda torna e nei digital store con un pezzo in cui la sublime dolcezza della sua voce si intreccia perfettamente ad un testo d’autore sofferto e malinconico, conducendo gli ascoltatori in un universo, riflesso della nostra contemporaneità, ancora troppo spesso caratterizzato da discriminazione, ghettizzazione e marginalizzazione nei confronti di tutti coloro che vengono definiti “deboli”, “strani”, “diversi”, ma che in realtà non sono altro che anime sensibili, empatiche, originali, ricche di tutti quei preziosissimi valori che il processo di massificazione ha svilito, fino ad annullarli.

Dopo un biennio che l’ha consacrata ufficialmente alla scena nazionale grazie a brani corroborati di sentimento come “Ad Occhi Aperti” e “A Testa Alta (Part II)” e release in grado di mostrarne versatilità e carisma come l’abbraccio elettro-pop-house di “Fake Smile” (feat. twfloors.), l’artista inaugura un 2023 ricco di incredibili sorprese con uno dei primi pezzi interamente scritti e composti da lei stessa tra il bianco e nero del pianoforte e le grigie ombre che aleggiano su tutto ciò che viene percepito ed altro non è che un «tremendo tormento», in cui l’essere umano si sente pervaso da quell’opprimente e asfissiante sensazione che lo fa vacillare, in balia di se stesso e dei propri timori, solo ed incompreso in un mondo che invece di accogliere le tipicità individuali le esclude e le respinge, continuando a bandirle, insieme a tutti coloro che cercano di proteggerle ed enfatizzarle, portandoli così a chiudere gli occhi, anziché porgere maggior ascolto ed attenzione – «tremo quando cadono le foglie, quando nessuno le raccoglie».

Mediante un’emozionante serie di traslati e metafore visive, Ninfea pone l’accento ove la società innalza barriere – «scatole in testa di storie remote, in cerca di pace, di sfide nuove» -, dissipando la nebbia e sollevando le maschere sociali, o per meglio dire, quel velo di Maya che ci impedisce di scorgere l’effettiva realtà delle cose che ci circondano ed, ancora prima, che fanno parte di ciascuno di noi, in maniera singolare e differente, ma non per questo giusta o sbagliata.

«”La fine dell’inverno” – dichiara l’artista – è uno dei primi brani che ho composto e scritto da sola. È nato al pianoforte, in un momento, come spesso accade, di tristezza, nostalgia ed incomprensione e parla proprio di questo, della sofferenza e del prezzo da pagare quando ci si sente “diversi” in un mondo in cui gli ideali creano gruppi, isolando i “fragili” che, “diversi”, ci si sentono sempre di più. Ho lasciato in questo testo tutta la rabbia e tutto il dolore, certa che la musica potesse e sapesse consolarmi. L’ha fatto e mi auguro con tutto il cuore che possa fare altrettanto con tutti coloro che l’ascolteranno».

Accompagnato dal videoclip ufficiale, diretto da Giuseppe Fisicaro e girato al Multiset Studio Ampere di Milano, “La fine dell’inverno” rappresenta un nuovo intenso tratto nel dipinto artistico di Ninfea, un affresco di cuore e voce da cui attingere per cogliere tutte quelle sfumature che, ancora troppo spesso, si perdono e si confondono in un netto dualismo di tinte che ci impedisce di percepire la meraviglia delle nuance che non solo li intervallano, ma li costituiscono.


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